Da buon emigrante anche io partii dall’Italia con il mio “trolley di cartone” da cabina per non incorrere in spiacevoli discussioni con l’equipaggio della compagnia low cost. Poi gli anni passano, e ti rendi conto che ci vorrà molto, troppo tempo, prima di un tuo eventuale ritorno definitivo in patria. A quel punto, puoi fai scattare l’operazione trasloco internazionale fai da te. E’ un rischio nonchè una sfacchinata, ma è un atto eroico necessario se, come me, non vuoi rinunciare a portare nella tua nuova casa qualche pezzo della tua vita precedente.
Nel mio caso si trattava di portare in Spagna la mia amata collezione di dischi e film, il mio vecchio ma fedele stereo, le chitarre che a Roma non facevano altro che impolverarsi e molte altre cianfrusaglie che non avrei mai potuto mettere in valigia nè spedire con un corriere. Il mezzo di trasporto scelto per l’occasione fu la mia compianta Ford Fiesta dell’anno 96; più che un veicolo, un santuario di ricordi che mi portò in giro per l’Europa dalla tenera età di 18 anni. Con l’obiettivo di compiere l’operazione della maniera meno traumatica possibile, scelsi di imbarcare la mia auto sul rinomato traghetto Civitavecchia – Barcellona. Una vera garanzia per chi preferisce addormentarsi nei mari italiani e riaprire gli occhi in terra di Spagna portando con se la propia auto caricata all’inverosimile.
E fu cosí che inizió la mia paurosa traversata Civitavecchia – Barcellona. Il traghetto di 55.000 tonnellate e più di 200 metri di lunghezza era molto pieno e la tipologia di passeggeri enormemente variegata. Camionisti, singolari imprenditori e torbidi personaggi convivevano con giovani coppiette, emigranti di ogni età e attempati signori che pensavano di essere in crociera. Poco male, sicuramente non mi sarei annoiato durante le 20 ore di tragitto previste; chiacchierare con l’umanità di quel ferry mi avrebbe alleggerito il viaggio.
E così fu, fino a quando non decisi di prendere posto nella cabina da quattro posti nella quale avevo prenotato una branda. Il mio trasloco fai da te doveva essere low cost, quindi niente lussi ne cabine singole. In fondo, viaggiare in compagnia di sconosciuti mi avrebbe riportato indietro ai tempi dell’inter rail. Non c’era nulla da temere, pensavo…ma mi sbagliavo.
Decisi di sdrairmi presto, la stanchezza si faceva sentire e volevo cercare di conciliare il sonno per rendere il viaggio meno pesante. La fortuna volle che fossi il primo ad occupare la mia branda e che la cabina fosse ancora vuota. Mi addormentai felicemente, ma la mia gioia durò ben poco. Fui svegliato di soprassalto da un energumeno e da un suo amico in evidente stato d’ebbrezza. A pensarci bene, avevo già visto i due soggetti, ordinare senza sosta nel bar del pontile. Le loro grida, il loro odore di alcol, ma soprattutto gli spintoni datomi cancellarono i miei sogni da viaggiatore.
Mi biascicavano che gli avevo rubato il posto e mi insultavano. Facendo uso delle più avanzate tecniche di self control, non entrai in discussioni e mi spostai in un’altra branda. Da ingenuo pensavo sarebbe finita così ma evidentemente i due continuarono. Troppi gli amari da smaltire e la voglia di fare bisboccia. Non c’era niente da fare e, se volevo evitare problemi peggiori con i due ubriaconi, dovevo cambiare aria.
Da buon cittadino, senza rispondere alle provocazioni andai a parlare con il receptionist spiegandogli l’avvenuto e quest’ultimo decise di avvisare il responsabile per accompagnarmi a prendere le mie cose e cambiarmi di cabina. Anche questa fu un’operazione tutt’altro che semplice perchè i due allegri bevitori con aggressività ci complicarono la vita tra spintoni ed ingiurie irripetibili. Alla fine riuscimmo a portare a termine la missione e mi assegnarono una cabina più tranquilla.
Ma la cosa che più mi colpì dell’accaduto fu che il propio responsabile mi confessò che sulla nave non c’era alcun servizio di sicurezza. Detto in altre parole, se i due personaggi fossero stati delinquenti professionisti e non poveri disgraziati non ci sarebbe stato nessun addetto pronto ad intervenire. Il povero responsabile esausto mi raccontò che ne aveva viste di tutti i colori e che spesso, su quella tratta, erano avvenuti fatti ben più gravi. Anche lui, per la sua incolumità, reclamava un minimo di sicurezza.
Fortunatamente nella seconda cabina gli unici inconvenienti furono di natura logistica: un vicino che russa, un altro che soffre d’insonnia e via dicendo. Ma nonostante tutto, finalmente conciliai il sonno. Per dovere di cronaca, il viaggio durò 23 ore perchè ci si mise anche una burrasca che ci fece ballare ed oscillare durante ore.
Oggi, ogni volta che ascolto un mio vecchio CD nel mio fedele stereo o che suono la mia chitarra, penso che valse la pena quella rischiosa traversata.